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Sibillini 2021

di Gianpaolo Beltrami

La mattina prometteva bene. Un aria frizzante, il sole appena accennato, il rumore del cancello che si apre, poi come d’incanto scatta la prima pedalata. Dopo tanta attesa, fatta di incertezze, dubbi, scoramento e quasi certezza che non saremmo mai potuti partire, finalmente, come a liberarci da un terribile incubo, arriva il giorno della partenza.

Ma il destino, fino alla fine, ha voluto complicare la realizzazione di questa avventura. Infatti due componenti hanno dovuto rinunciare per gravi motivi famigliari.

Questo inconveniente, ha rattristato il nostro animo. Rinunciare tutti sarebbe stato un errore, i nostri amici, Daniele e Cinzia, ci hanno trasmesso il forte desiderio di partire ugualmente. Solo in questo modo, avrebbero avuto la possibilità di vivere un po’ anche loro le gioie e le emozioni di questo viaggio.

Al punto di ritrovo, siamo tutti puntuali. Ci accoglie, come promesso, una buonissima torta al forno. Un paio di amici, Spero e Mietta, sono venuti per scortarci nel nostro percorso in bicicletta fino a Reggio Emilia, dove ci aspetta un treno locale che con deliziosa lentezza ci porterà fino a Tolentino.

I primi colpi di pedale, grazie anche al clima ancora tiepido, procedono in scioltezza. Le strade secondarie poco trafficate, ci permettono di chiacchierare in libertà e di stemperare quel filo di tensione che aleggia all’inizio di ogni viaggio.

Congediamo i nostri bravi accompagnatori, che insistono per immortalarci nella classica foto di rito da postare sui social.

Da adesso in poi, dovremo fare con le nostre forze, siamo in quattro, due uomini e due donne, due biciclette muscolari e due assistite, i nostri bagagli e la nostra voglia di viaggiare in libertà.

Eccolo il primo ostacolo, se vogliamo raggiungere il binario da dove partirà il treno, dobbiamo prima scendere una rampa di scale e poi salire l’altra.

I nostri mezzi, a causa dei bagagli, sono abbastanza ingombranti e pesanti. La manovra ci impegna severamente, ma non è sufficiente per scalfire il nostro crescente ardore.

 

Il sole inizia a scaldare, la banchina si anima di gente, molti ci osservano in parte incuriositi, qualcuno forse ci invidia e vorrebbe seguire le nostre orme.  Arriva il nostro treno, purtroppo non è come speravamo. Raggiungere la postazione comporta un'altra faticaccia, ma grazie anche alla gentilissima hostess riusciamo a sistemarci senza grossi danni.

Siamo seduti vicino alle nostre biciclette. Possiamo rilasciare un lungo sospiro di sollievo, durante la prima tratta, avremo il controllo dei nostri mezzi di trasporto.

Percorriamo quasi tutta la via Emilia, Modena, Bologna ,Faenza, Forlì, poi lo sbarco in riviera, prima Rimini antica capitale del divertimento, ora ampiamente superata da Milano Marittima.

Poi Riccione, Bellaria, con un crescendo di mescolanze architettoniche che vanno dal moderno al decadente anni 60/70.

Eccolo il mare, che si intravede a malapena, nascosto da vere e proprie piantagioni di ombrelloni che ogni tanto concedono un minimo di spazio a qualche metro di spiaggia libera, dove esiste ancora qualcuno che ha il coraggio di vivere in libertà.

Le immagini lasciano spazio a qualche campo da calcio spelacchiato con alcuni ragazzi di colore che si sfidano in infinite partite a calcio.

Arrivati ad Ancona, dobbiamo cambiare treno. Anche questa salita è abbastanza faticosa, ma il gruppo sta assimilando i trucchi del mestiere e riusciamo a sistemarci abbastanza bene.

Ora si viaggia verso l’interno, il mare lascia lo spazio alla collina. Il sole alto fa brillare l’oro dei campi di grano che stanno aspettando con ansia la mietitura.

Il treno sbuffa, sembra soffrire anche lui per il caldo, ad ogni stazione arranca, non siamo così sicuri possa farcela a portarci a destinazione.

Arrivati a Tolentino, una luce accecante ci accoglie alla discesa dal treno. Saliamo finalmente sulle nostre biciclette, ora siamo consapevoli che potremo contare solo su di loro per i nostri spostamenti.

Prima di lasciare la cittadina, dedichiamo un poco del nostro tempo alla visita della basilica di San Nicola.

La costruzione dell’edificio risale al 1200, ma durante i secoli ha subito diverse modifiche. Gli affreschi all’interno e in parte nel chiostro sono di scuola Giottesca. Purtroppo la parte più interessante e famosa, denominata “ il cappellone “ è in parte oscurata dai ponteggi per il restauro dovuto al terribile terremoto. 

Dopo questo primo approccio con le bellezze storiche del territorio, decidiamo che è giunta l’ora di pedalare se vogliamo raggiungere, prima del sopraggiungere delle tenebre, la nostra prima meta.

Il percorso si snoda per strade poco trafficate, si sale e si scende in modo lieve, una leggera brezza mitiga la calura pomeridiana qualcuno canticchia, l’umore del gruppo profuma di buono.

Cominciamo ad entrare in zona terremoto, lo si respira nell’aria, le prime case diroccate, gli edifici commerciali chiusi. Dobbiamo arrivare a Pieve Torina entro le 20,00, l’unico punto di ristoro dove poter trovare cibo commestibile a quell’ora chiude.

Assetati e affamati arriviamo al bar e alimentari “ Pompeo “, dove una birra ghiacciata placa la nostra sete e poi un suntuoso panino con il pecorino di Cupi sistema il resto.

Seduti all’aperto, mangiamo in silenzio, ci rendiamo conto di essere entrati in sintonia con l’ambiente. Siamo quattro viaggiatori in libertà alla scoperta di emozioni e sensazioni all’interno di un paesaggio ferito dove la gente ha sofferto ma ha avuto il coraggio di rimanere a vivere con la sua storia e la sua dignità.

Il nostro contatto arriva a prenderci e ci guida alla nostra sistemazione per la notte. Dopo una breve salita raggiungiamo il nostro appartamento. La sistemazione è ottimale per le nostre poche esigenze, abbiamo a disposizione molto di più di quello che ci servirebbe.

Stanchi dopo la lunga giornata, ma rinfrancati da una meritata doccia, una volta sistemato nelle apposite ricariche le nostre apparecchiature elettroniche, ci concediamo un poco di aria fresca in veranda, sotto un cielo stellato fra il silenzio della valle.

Qualcuno dorme già, qualcuno resiste e si guarda la partita soffrendo ancora un po’ prima del meritato riposo.

Tutti si alzano poco dopo l’alba. Ci aspetta l’ascesa a Castelluccio, 15 km di dura salita, che sicuramente metterà a dura prova il nostro grado di preparazione.

La colazione è curata nei minimi particolari, nulla è lasciato al caso. Le biciclette sono state caricate con cura, si pedala subito in salita, ma questo è solo un piccolo assaggio in confronto a quello che verrà.

La prima tappa è Vari ne approfittiamo per fare scorta alimentare. Prima di lasciare il paese, non possiamo non soffermarci un istante per toccare con mano quello che la devastazione del terremoto ha provocato.

Siamo ai confini con la zona rossa, le prime immagini sono devastanti, non esistono le parole adeguate per raccontare quello che si prova in quei momenti. Nessuno parla, possiamo solo osservare in religioso silenzio si fatica perfino a respirare come se ti mancasse all’improvviso l’ossigeno.

Poco più avanti la vita ha ripreso a scorrere, case prefabbricate e anche le attività commerciali hanno a fatica ripreso vigore. La sensazione è che questa gente non tornerà mai più nelle sue abitazioni originarie.

Arriviamo a Castelsantangelo sul Nera. Lo scenario non cambia, siamo noi che a poco a poco cominciamo a farci l’abitudine. Da qui comincia la vera salita. Sole sudore e fatica, questi sono gli ingredienti della mattinata.

Dopo quasi due ore arriviamo ad avvistare Castelluccio con la sua piana. La fatica scompare con l’apparire di questo incredibile spettacolo che la natura è ancora in grado di offrire. Queste macchie di blu intenso che colorano i campi hanno la forza di rallegrare il nostro animo, messo a dura prova solo qualche ora fa.

La strada si anima, frotte di turisti arrivano da tutte le parti. Anche noi siamo travolti dall’entusiasmo della gente e ci lasciamo coinvolgere nello scattare foto da ogni angolo possibile.

Dopo un altro breve pezzo in salita, arriviamo in cima alla strada, dove possiamo vedere quello che è rimasto di Castelluccio. Il centro storico praticamente non esiste più, solo alcune abitazioni si sono salvate dal sisma.

Ma la vita va avanti, il turismo reclama e la gente del luogo con mezzi non sempre adeguati cerca di soddisfarne le richieste.

Dopo alcuni momenti di confusione controllata, riprendiamo a connettere e decidiamo di scendere giù nella piana per ristorarci presso un chiosco ambulante dove con un poco di fortuna dovremmo trovare bevande e cibo e un posto dove sederci all’ombra.

Una birra gelata seduti all’ombra, non potevamo chiedere di meglio. Come d’incanto due ragazze sedute vicino a noi intonano alcune arie con i loro violini, ci sembra di sognare, siamo stati catapultati in un mondo irreale.

 

Dopo il meritato ristoro, raggiungiamo una zona limitrofa dove possiamo rifornirci d’acqua tramite delle vasche che fungono da abbeveratoio per gli animali. Un intero gregge da lì a poco ci segue e occupa l’intera area. Dopo di loro arriva un intera mandria di cavalli per poi andare a brucare la poca erba rimasta nella piana. 

Mentre il sole inizia la sua lenta discesa, consumiamo la nostra cena sempre presso lo stesso chiosco. Zuppa di lenticchie e arrosticini innaffiati da un buon bicchiere di vino rosso. Location semplice e umile ma cibo di prima qualità.

L’aria comincia a rinfrescare, la piana cambia i suoi colori, per la notte ci aspetta la nostra tenda su a Castelluccio. In una terrazza naturale, proprio dietro ad uno dei pochi alberghi rimasti integri, sono collocate le nostre dimore.

Prima di coricarci, scendiamo in paese, dove ci immergiamo in una vasca che un tempo fungeva da lavatoio per lavarci e rinfrescarci.

Rimane giusto il tempo per riordinare le nostre cose, e mentre contempliamo la piana che si sta addormentando, intavoliamo un improbabile dialogo con un camminatore tedesco che ha frapposto la sua tenda fra le nostre due.

Dopo un complicato scambio di informazioni storpiando tre o quattro lingue, entriamo nelle nostre tende con la speranza di riposare bene.

Uscire dalla tenda per un fabbisogno notturno si rivela più complicato del previsto. Calpesto un tirante e maldestramente inizio a ruzzolare per il dirupo. Per fortuna riesco ad aggrapparmi ad alcuni arbusti che mi permettono di bloccare la discesa.

Il tutto finisce con un inevitabile risata sotto le stelle, con il mio compagno che promette falsamente di non divulgare l’accaduto.

Una leggera nebbiolina accarezza i campi fioriti, il sole si alza pigramente, la piana sembra non avere voglia di svegliarsi. Usciamo dalle tende un tantino accartocciati, ma con la dovuta calma riusciamo a riprendere la forma normale. Cerchiamo di affrettare tutte le varie operazioni di riassetto borse e carico biciclette; ci preme visitare la parte opposta della piana quando ancora l’orda dei turisti non l’ha ancora invasa.

Dopo una ricca e abbondante colazione, siamo già in strada. La salita per arrivare sul lato opposto non è troppo impegnativa, lo spettacolo che ci aspetta è di livello assoluto.

Il blu si mescola al giallo e ogni tanto lascia lo spazio ad ampie macchie di rosso. Poter assaporare questo spettacolo di colori senza il caos delle macchine ed in un silenzio quasi surreale, pacifica l’anima e pulisce il cervello dalle scorie accumulate.

La piana torna ad affollarsi, decidiamo quindi di che è giunto il momento di lasciarci alle spalle questa stupenda tavolozza di colori e di affrontare il salitone che ci porterà al passo per poi lanciarci in una lunga picchiata verso Norcia.

Lacrime e sudore, con il sole che non ci risparmia neppure per un attimo, ma per fortuna la salita non è così lunga e dopo circa 40 minuti siamo in cima. Giusto il tempo di respirare e munirci di giubbino anti vento per poi tuffarci in una lunga e affascinante discesa verso le porte di Norcia.

Adesso è il vento il nostro compagno, ci schiaffeggia il viso, cerca di frenare il nostro furore, ma è tanta la voglia di scendere che non temiamo niente e nessuno. Le mura della città ci appaiono in un attimo, siamo praticamente volati.

Torna a farla da padrone il sole con la sua fiamma implacabile. Cerchiamo subito il nostro ostello. Il programma di giornata prevede qualche ora di giusto relax in piscina. Dopo l’assegnazione delle camere e lo scarico delle borse dalle biciclette, ci tuffiamo in acqua incuranti di qualsiasi cosa succeda intorno a noi.

Ci voleva proprio questa pausa. Non avvertiamo neanche la fame, pur avendo ingerito solo qualche biscotto e una misera barretta. Rivitalizzati, docciati e cambiati, ci incamminiamo verso il centro storico di Norcia ben consapevoli che lo scempio causato dal terremoto sarà impressionante.

Infiliamo una via dove hanno sistemato tutta una serie di negozietti in casette prefabbricate questo è il primo segnale di quello che presto vedremo. L’arrivo in piazza è devastante, della cattedrale è rimasta in pedi solo la facciata, di fronte a tale vista per l’ennesima volta non riusciamo ad emettere nessun suono, i nostri muscoli sono come paralizzati, il cuore si è come fermato.

Ma la vita scorre, i rumori del traffico e il vociare della gente ci rianimano, comprendiamo che pur con la paura addosso la gente ha dovuto e voluto riprendere a vivere.

Seduti all’ombra, ci consoliamo mangiando un buon gelato, cercando di programmare una cena dignitosa presso un ristorante del centro.

Scegliamo un locale difronte al teatro. Mangiamo all’aperto, una magnifica cicoria saltata in padella poi ognuno di noi combatte con un abbondante piatto di pasta, tartufo, funghi e anche salsiccia.

Dopo questa scorpacciata, rientriamo sempre a piedi per finire la serata a bordo piscina dove diamo sfogo ad una repressa voglia di chiacchiere in leggerezza.

 

Dopo una nottata tranquilla senza capitomboli o sorprese particolari, scendiamo a far colazione dove però non troviamo grandi cose e ci ripromettiamo di sopperire alle nostre esigenze nutrizionali con una sosta nel primo forno che avvisteremo. 

E così infatti, non passa che una mezzoretta e siamo già fermi a verificare la bontà di una pizza calda. Riempite le borracce ad una fontana, iniziamo a pedalare sulle tracce della ciclabile Norcia Spoleto.

Dopo pochi minuti siamo già immersi nel verde di una vegetazione rigogliosa, che a volte intralcia il nostro cammino rendendo il percorso impegnativo ma anche molto affascinante.

Dobbiamo stare sempre molto concentrati per evitare improvvisi ostacoli, come pietre o arbusti, ma siamo fuori dal traffico e immersi completamente nella natura che sa di selvaggio ma che esplode con tutti i suoi colori e profumi.

A Serravalle dobbiamo abbandonare la ciclabile per proseguire per un breve tratto sulla strada statale.

Ne approfittiamo per visitare una norcineria piazzata proprio sulla strada. Entrare in questo tempio gourmet ci provoca un estasi incredibile, i prodotti esposti emanano una serie di profumi da sballo, vorremmo assaggiare tutto.

La signora al bancone fatica a farci rientrare nella realtà, e cerca disperatamente di capire cosa effettivamente vogliamo. Usciamo con un panino, ma forse non sappiamo bene neanche noi cosa ci abbiamo fatto mettere all’interno, di certo lo scopriremo più avanti.

Prima di riprendere la pista, dobbiamo superare qualche galleria con relativi lavori in corso. Queste improvvise difficoltà ci creano qualche problema che superiamo non certo senza fatica.

Finalmente troviamo la deviazione per tornare fuori dal traffico e riprendere la pista. Prima della prevista sosta per la visita del borgo denominato Vallo di Nera, ci fermiamo vicino al fiume approfittando di un area picnic per addentare il nostro panino gourmet.

Il nostro rapporto con il pecorino ed il prosciutto di Norcia si sta intensificando. Ristabilito l’equilibrio energetico, affrontiamo la salita verso Vallo di Nera sotto un sole ardente che ci accompagna senza tregua fino alle soglie del paese.

Troviamo una comoda panchina all’ombra, dove, in compagnia di alcuni simpatici e strambi personaggi, cerchiamo riparo dalla calura pomeridiana.

Questa sosta ci permette di incontrare in modo del tutto casuale la sindachessa , sig.ra Agnese, la quale si offre, con una straordinaria disponibilità, di farci da cicerone in occasione della visita alla chiesa di Santa Maria, vero gioiellino di questo borgo medievale.

La chiesa francescana, il cui primo nucleo risale al 1273, successivamente rimaneggiata, spicca per il suo bel portale gotico e il suo campanile. L’interno è un piccolo scrigno di affreschi di scuola giottesca, ma a rendere il tutto speciale è il calore e la passione che la sig.ra Agnese infonde alle sue parole che hanno il potere di farci viaggiare a ritroso nel tempo.

Salutiamo e ringraziamo la sindachessa per il tempo che ci ha dedicato ma in modo particolare perché ha reso questa visita del tutto speciale e indimenticabile. Proseguiamo a zonzo per le vie di questo splendido borgo. Le case in pietra perfettamente curate, il silenzio che regna sovrano per le vie, il tempo sembra essersi fermato al Medioevo, forse anche noi al posto delle biciclette troveremo dei cavalli.

Riprendiamo a pedalare, affrontando finalmente una comoda discesa. Dopo qualche titubanza rientriamo sulla pista ciclabile. Il sole quasi ci acceca, il fondo della pista non ci permette la ben che minima distrazione, i continui saliscendi rendono il percorso molto impegnativo ma nello stesso tempo particolarmente esaltante.

Senza un attimo di respiro prosegue il nostro avvicinamento a Ferentillo, prossima tappa del nostro tour.

Il caldo si fa opprimente, l’acqua limpida del Nera ci chiama, sembra il richiamo delle sirene con Ulisse.

Cediamo alla tentazione. Infiliamo un piccolo anfratto e nel giro di pochi secondi siamo in acqua. Come dei ragazzini ci rinfreschiamo spruzzandoci a vicenda, dopo tanta tensione in bicicletta, ci voleva un momento per rilassarsi e godere di queste acque fresche e limpide.

Quasi rinati, pedaliamo per compiere l’ultimo sforzo, la torre di Ferentillo ci annuncia che oramai la meta è quasi raggiunta. Il nostro B&B è ben nascosto in mezzo ad un oliveto, ma dopo qualche affanno riusciamo a trovarlo e a concordare con la nostra padrona di casa una cenetta a base di verdura.

Non completamente soddisfatti dell’accordo, ci rechiamo presso un vicino supermercato per acquistare anche del pane e un poco di frutta, in modo che alla nostra tavola non manchi niente.

 

Stanchi ma rilassati, ceniamo in veranda, il racconto della giornata si mescola al canto dei grilli e all’imbrunire che avvolge a piccoli passi l’uliveto. Quando anche le parole sentono la stanchezza, ci ritiriamo nelle nostre stanze per un meritato riposo. 

Grazie agli acquisti della sera prima, la colazione è finalmente ricca e variegata, oggi si parte con il piede giusto. Prima di abbandonare Ferentillo desideriamo visitare il museo delle mummie che si trova proprio di fianco alla chiesa.

Siamo in anticipo rispetto all’apertura del museo, decidiamo quindi di impiegare il tempo a disposizione per acquistare le provviste necessarie al pranzo di oggi. Ci rechiamo presso un negozio di alimentari sito nella piazzetta al centro del paese.

La signora, titolare del negozio, si dimostra gentilissima e paziente cercando di soddisfare le nostre richieste per la preparazione di panini sempre più raffinati. Pecorino e melanzane, pecorino e pomodorini sott’olio, prosciutto saporito di Norcia, nulla viene lasciato al caso.

Finalmente il museo apre. Dopo aver ben chiuso le nostre biciclette, entriamo in questo mondo tenebroso che ci riporta a contatto con l’aldilà. Questa visita ci lascia sensibilmente scossi, riprendiamo a pedalare ma lo facciamo in silenzio, ognuno sta riflettendo su quello che un bel giorno arriveremo ad essere: un mucchio di ossa.

Lentamente ritorniamo del solito umore. Abbiamo abbandonato la ciclabile Norcia Spoleto, passiamo Arrone, altro borgo interessante, ma il tempo è tiranno e non possiamo fermarci. La sosta pranzo decidiamo di farla a Piediluco, in riva al suo omonimo lago.

I panini sono veramente una delizia ci concediamo anche una breve pennichella; chiudere gli occhi per un attimo ci permette di ripassare tutte le immagini di giornata, comprese le mummie che tanto ci hanno scosso.

Ripartiamo sotto un sole cocente. Dopo una breve salita, ci sembra di nuotare in mezzo al grano, con l’azzurro del lago alle nostre spalle e la piana di Rieti che aspetta il nostro arrivo.

Dopo Marche e Umbria, entriamo nell’alto Lazio. Stiamo entrando in una zona mistica denominata la valle santa per la presenza di quattro santuari dove lasciò il segno San Francesco.

Il fiume Nera lascia il posto al fiume Velino. Il loro incontro dà origine alla cascate delle Marmore. Pedaliamo in perfetta solitudine, su strade a basso traffico che attraversano campi ordinatamente coltivati con i monti Sabini e Reatini che ci osservano dall’alto.

Il colore dell’acqua che scorre in questa piana è di un verde smeraldo. Mentre pedaliamo, la natura ci lancia messaggi ben precisi, noi ascoltiamo e assorbendo il suo messaggio viviamo momenti di pura estasi.

Seguendo il corso del Velino, raggiungiamo le mura di Rieti. Il nostro riferimento è il ponte romano, poco distante dovremmo trovare la nostra sistemazione per la notte. Dopo breve girovagare arriviamo a destino. Dobbiamo lasciare le biciclette presso un deposito improvvisato per poi raggiungere l’appartamento situato nella via principale della città.

Ci hanno sistemato in un appartamento del 500, con soffitti affrescati, camere enormi, non possiamo certo lamentarci, probabilmente riusciremo anche a portare su anche le nostre biciclette.

Il tempo di riassettarci un attimo e poi via di nuovo, questa volta a piedi, infatti ci attende la visita guidata di Rieti sotterranea. La nostra visita inizia da piazza Cavour, all’inizio del nuove ponte sul Velino tra le acque del quale si osservano i resti del ponte ro mano, costruito nel III secolo a.C.

Dal ponte possiamo ammirare l’imponenza di via Roma, nel passato via Salaria l’antica via del sale, sostenuta da una serie di archi crescenti costruiti dai romani per evitare allagamenti e impaludamenti della consolare.

Dopo una breve introduzione della guida, raggiungiamo via del Porto da dove possiamo vedere i vecchi archi di palazzo Napoleoni, ora tamponati, che fungevano un tempo da darsena quando il fiume straripava.

Attraverso questi archi le barche trasportavano le merci nei magazzini sottostanti dove avvenivano le contrattazioni stesse. Il fiorire della malavita fece sì che questi magazzini fossero chiusi e l’attività del mercato portata alla luce del sole.

Attraverso questi locali arriviamo al cortile di palazzo Vecchiarelli, sicuramente il palazzo più prestigioso della città. Restiamo incantati dal lavoro che l’architetto Carlo Maderno è riuscito a compiere, armonizzando i vecchi edifici con le nuove opere di ampliamento.

Questo percorso a ritroso nella storia, dai Sabini ai romani per arrivare al sei settecento, ha nutrito la nostra fame di cultura, ma adesso reclama un altro tipo di fame, che solo una buona cena potrà soddisfare.

Dopo brevi consultazioni e qualche telefonata, il prescelto per soddisfare le nostre impellenti esigenze di cibo è la trattoria da “ Tito ”, posto storico della città con una tradizione centenaria.

Basta entrare che subito ti avvolge una atmosfera speciale che sa di autentico e di cibo fatto in casa. Le stanze, i mobili, gli oggetti, lo stesso personale hanno un legame

con la tradizione reatina. Ci accomodiamo sicuri che la nostra ricerca di cibo autentico è nelle mani giuste.

Spinaccini freschi saltati in padella, cacio e pepe con fiori di zucca, matriciana grigia, ci regalano un finale di giornata davvero esaltante, non potevamo trovare di meglio. Quello che desideriamo ora è di provare la consistenza dei nostri letti, anche oggi non sono mancate le emozioni, ma la stanchezza comincia a farsi sentire.

Ma non abbiamo fatto i conti con la movida del Sabato sera che sembra si scateni quasi interamente lungo via Roma, ed in modo particolare proprio sotto le nostre finestre. Restiamo svegli fino quasi all’una, poi, nonostante gli schiamazzi riusciamo ad addormentarci.

Non possiamo permetterci di poltrire, quindi in piedi poco dopo l’alba, e assalto alle cibarie poste in dispensa per far fronte alle nostre esigenze di colazione. Dopo la solita scorpacciata mattutina, ci rechiamo al deposito per recuperare le nostre biciclette. Ci attende un intenso giro per la piana di Rieti, alla scoperta di eremi sacri e natura incontaminata.

Come prima tappa di giornata scegliamo il Santuario “La Foresta”, dove San Francesco sostò quando fu invitato a recarsi a Rieti dal Cardinale Ugolino nel 1225 per curarsi agli occhi. Qui Francesco fu ospite del sacerdote custode della chiesetta di San Fabiano e tanta fu la gente che accorreva per rendergli omaggio, che la vigna circostante rimase completamente distrutta.

Tuttavia la leggenda narra che nel tempo della vendemmia, produsse uva abbondante e di grande qualità.

La salita per arrivare all’eremo è come al solito impegnativa e rigorosamente soleggiata. Ma una volta arrivati veniamo accolti da un oasi di fresco e di silenzio. Nel giardino antistante la chiesetta è stato allestito un altare dove fra poco verrà celebrata la messa domenicale.

Seduti su un muretto all’ombra, assistiamo all’arrivo dei fedeli. Le persone che arrivano si conoscono tutte, prima i convenevoli di rito poi ognuno si accomoda al banco o alla sedia oramai da tempo conosciuta.

Un signore dal fare elegante, ci erudisce sulla storia dell’eremo, raccontandoci anche diversi e curiosi aneddoti. Prima che cominci la funzione, salutiamo il nostro anfitrione e togliamo il disturbo, infilando la strada, per fortuna, questa volta in discesa.

Si avvicina l’ora di pranzo, siamo in una zona dove la porchetta la fa da padrone quella di Poggio Bustone sembra sia veramente imbattibile. Come d’incanto, ad un crocevia

troviamo un “ porchettaro “ ambulante pronto a soddisfare i nostri desideri di giornata.

Dopo pochi minuti, siamo seduti all’ombra di una tettoia con un enorme panino fra le mani che non aspetta altro di essere addentato. Il bicchiere di vino rosso fresco, quasi gelato, ci aiuta nel compito gravoso e facilita il nostro pranzo succulento.

Il traffico aumenta, quasi tutti i passanti fanno tappa dal nostro oste per accaparrarsi un panino gourmet. Si fermano anche le persone del luogo per acquistare la porchetta a fette che garantirà a loro un pranzo gourmet. Attratti dal profumo e dal traffico, si fermano anche cinque giovani ragazzi austriaci, che con le loro biciclette cariche all’inverosimile stanno attraversando l’Italia con destinazione Roma.

Dopo aver vinto la battaglia con il panino alla porchetta, ci aspetta un pomeriggio soleggiato ma di completa immersione in una natura incontaminata. Le strade che percorriamo sono quasi completamente prive di traffico, spesso ci troviamo su delle carraie o su strade bianche ma quasi sempre con al fianco dei corsi d’acqua cristallina di un colore verde smeraldo.

Battiamo la piana a tappeto, salendo e scendendo fra argini e campi di grano che si alternano a vere e proprie piantagioni di girasoli. Il sole brucia, la fronte gocciola sudore, ma l’anima è felice e lo spirito che accompagna le nostre pedalate è forte e determinato.

Siamo in zona due laghi. Prima di rientrare ci fermiamo presso delle vasche di acqua corrente per rinfrescarci un attimo. Gelo puro, facciamo fatica a resistere anche solo un minuto in quest’acqua veramente fredda. Il pensiero corre veloce ad una merenda rinfrescante, comincia a serpeggiare fra di noi l’idea di fermarci a mangiare una fresca fetta d’anguria.

Appena fuori le mura di Rieti, troviamo l’ambulante che fa al caso nostro. Dopo esserci accomodati ad un tavolo rigorosamente all’ombra, ci servono quattro fettone di anguria gelata con relativa fette di limone che rende questo frutto benedetto veramente divino.

Ristorati e rinfrescati all’interno del corpo, non ci rimane che raggiungere la nostra dimora per le pulizie esterne. Essendo Domenica, molti locali sono chiusi, se poi consideriamo che in serata si disputerà la finale del campionato europeo, trovare un luogo dove cenare non sarà così semplice.

Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, decidiamo di tornare fuori le mura per fare tappa nuovamente presso gli ambulanti cercando di trovare una buona soluzione per la

cena. Nel frattempo il caldo non tende a diminuire e la brezza della sera tarda ad alzarsi.

Noi uomini decidiamo che il panino con la porchetta possa valere il bis di giornata, mentre le donne si concedono un più leggero prosciutto e melone. Il servizio è attento e preciso, la qualità del cibo molto buona, non possiamo proprio lamentarci.

Non possiamo esimerci dal vedere la finale. Prima soffriamo quasi rassegnati, poi piano piano riprendiamo vigore per poi esplodere in un urlo di gioia. Tutta Rieti si riversa lungo viale Roma con bandiere e fumogeni.

Se pensavamo di dormire presto abbiamo sbagliato i conti, sarà baldoria fino a notte inoltrata e il tutto avverrà sotto le nostre finestre.

Ci svegliamo ancora storditi dalla baldoria notturna. Solo dopo aver fatto colazione ci rendiamo conto che oggi non saliremo sulle biciclette, ma l’unico mezzo che useremo sarà il treno per riportarci a casa.

Spendiamo la mattinata perdendoci per le vie di Rieti, lasciandoci accarezzare dalla brezza che soffia deliziosa cercando di rallentare il tempo per rinviare il più tardi possibile il nostro rientro.

Ma dopo l’immancabile acquisto di provviste destinate alla nostra sopravvivenza giornaliera, arriviamo alla stazione ferroviaria dove ci accoglie una strana atmosfera da film western. A mezzogiorno passato arriva il treno che da Rieti ci porterà fino a Terni dove dovremo fare il primo cambio di giornata.

La solita faticaccia per caricare le biciclette, poi una sistemazione approssimativa e il caldo torrido rendono il viaggio, seppur breve, poco piacevole. Ma l’animo è sereno e appagato, affrontiamo questo viaggio di ritorno con lo spirito giusto, consapevoli di aver fatto una bellissima esperienza insieme.

A Terni il tempo di attesa non è molto, quindi aspettiamo la coincidenza sulla banchina. Anche questo treno non ha i requisiti adeguati per caricare le biciclette, ma la nostra organizzazione è oramai collaudata e le procedure di carico filano via lisce come l’olio.

Una volta sistemati a bordo ne approfittiamo per chiudere gli occhi e rivivere le immagini del nostro film, sognando le acque fresche del Nera e del Velino o i campi fioriti di Castelluccio.

 

Viaggiare in treno è un viaggio nel viaggio, dove hai tempo di pensare e anche sognare, dove incontri personaggi strani, dove ti risulta più facile parlare con le persone. Spesso ti capita di confidare a dei perfetti sconosciuti i tuoi segreti più intimi. 

Arriviamo a Falconara, ennesimo cambio. Visto il tempo di attesa di quasi due ore decidiamo di uscire dalla stazione per fare una capatina in spiaggia per un bagnetto rinfrescante. Io mi accomodo al bar della spiaggia per mangiarmi un bel gelato, rigorosamente confezionato, in modo da poter fare il guardiano delle biciclette.

I miei amici rientrano rapidamente, delusi dal bagno, in quanto l’acqua era quasi stagnante. Non rimane che consolarci con il caffè del bar. Delusi dal bagno nel torbido mare, ritorniamo in stazione per salire sull’ultimo treno di giornata.

Finalmente un treno di nuova generazione. Saliamo comodamente e troviamo anche gli spazi adeguati per sistemare le bici. Essendo la linea adriatica, ad ogni stazione il via e vai dei passeggeri è continuo. Non riconosci nessuno, ma ti sembra di conoscere tutti, quante domande ti fai sul tuo vicino di posto, cosa l’avrà portato su quel treno, a che cosa starà pensando, che cosa nasconde la sua chiamata sul cellulare.

Sarebbe bello conoscere tutto di tutti, poter dialogare in libertà con qualsiasi essere umano, questo alzerebbe il livello del tuo viaggio ai massimi livelli.

Arriviamo a Reggio Emilia a sera inoltrata. Ci aspetta l’ultima pedalata in compagnia prima di arrivare ognuno alla propria casa. Sereni come non mai, con le nostre biciclette illuminate buchiamo la notte canticchiando qualche motivetto improvvisato.

Siamo stanchi ma felici, il viaggio è stato bello e privo di incidenti, avremo materiale in abbondanza per i nostri racconti futuri. Un ultimo saluto e la compagnia si spezza.

 

Un grande ringraziamento a Gianpaolo Bonetti, ideatore e regista nonché capo gita, Anna Mariani sua splendida moglie, nonché compagnia di chiacchiere, Susy Subazzoli indomita guerriera, nonché quella che non molla mai. 

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